cose che sono insucessi
la transizione quindi è uno stato perpetuo. ho capito però che non mi basta accettare il movimento e l’anti-staticità perché ho smesso di credere al progresso come l’andare in avanti.
nel crescere.
nel tappa dopo tappa.
nel fallimento come momento di passaggio verso il futuro successo.
la vita è una continua transizione e i fallimenti ne sono parte. sono inestricabilmente connessi alla natura della persona. ognuna coi suoi pesi e le sue piume.
bisognerebbe comprendersi, osservarsi, frammentarsi e ricomporsi nella logica della fallacia, della ricorsività. bisognerebbe essere in grado di incriminarsi ma sapersi anche abbracciare.
la retorica del fallimento come ingrediente per il successo, come fosse una medaglia o un certificato di garanzia, secondo me, è fuori fuoco. l’insuccesso da solo non porta da nessuna parte.
non cambia.
non muta.
non si trasforma.
invece forma la struttura emotiva e fisica di una persona, ne costituisce la realtà e lo sfondo, insieme a tutto il resto. non definisce ma contribuisce.
riconoscersi in questa struttura vuol dire vedersi, abbandonarsi alle transizioni.
accettare di essere un organismo formato da fallimenti e successi ci aiuta a comprendere che la visione che abbiamo del mondo è limitata, parziale, confinata nel nostro corpo-mente. fallire vuol dire accorgersi degli altri, percepirli nella loro prossimità fisica.
l’insuccesso in sé provoca scossoni, spinte, schiaffi e pugni nello stomaco ma non porta verso alcun progresso, è solo una parte di noi che significa molto.
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